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giovedì 25 febbraio 2010
martedì 23 febbraio 2010
lunedì 15 febbraio 2010
sabato 13 febbraio 2010
LA teoria del Dodo
Il termine "Made in Italy", come dice Eugenio Benetazzo, dovrebbe essere cambiato in "Designed in Italy". La confezione di molti prodotti rimane italiana, ma il contenuto è cinese, romeno, polacco, brasiliano. II nostri governi hanno incoraggiato per anni le imprese a spostare la produzione all'estero. Gli imprenditori non ci hanno pensato due volte: possono continuare a sfruttare il marchio mentre diminuiscono il costo della mano d'opera. Il prezzo del prodotto non cambia, il lavoratore italiano è licenziato e l'imprenditore aumenta i suoi guadagni. Belin, che affare.
Testo intervento Eugenio Benetazzo.
"Un saluto a tutti i lettori del blog. Parlerò della cosiddetta teoria economica del Dodo, cos’è il Dodo? E' stato un simpatico pennuto colombiforme, alto grosso modo 50/60 centimetri, inetto al volo, vissuto durante fino al XVII secolo nell’isola delle Mauritius, è stato un ispiratore da parte di molti personaggi di lungometraggi animati e anche delle storie del fumetto della Walt Disney a cominciare da Alice nel paese delle meraviglie, a finire a Spennacchiotto, il famoso scienziato che faceva concorrenza a Archimede e aiutava la Banda Bassotti a derubare zio Paperone.
Perché parlo con l’imperfetto? Perché il Dodo non esiste ma esisteva? Perché il Dodo si è estinto, sembra nel 1681, anno nel quale si è verificato l’ultimo suo avvistamento e perché si è estinto il Dodo? Si è estinto a seguito dell’arrivo dei coloni portoghesi o olandesi nell’isola che introdussero nella fauna, specie antagoniste, come cani, gatti, conigli, suini che diventarono voracissimi delle uova del Dodo, quest’ultimo nidificava a terra, solitamente un uovo per esemplare e nel giro di 50 anni, si estinse perché le autorità di allora non pensarono, non concepirono il pericolo per questo simpatico bipede dell’ingresso di specie non autoctone. Il Dodo non aveva mai incontrato nell’isola specie che potessero creargli difficoltà o con il quale si potesse scontrare. Dodo ha questo nome in quanto gli è stato affibbiato dai portoghesi, questi ultimi utilizzarono un aggettivo nella loro lingua "Doudo" che significa ingenuo, perché i portoghesi che arrivarono all’isola e videro questo simpatico animale che si avvicinava a loro senza ostentare nella maniera più assoluta alcuna remora o peggio ancora nel restare a guardare che la sua stessa prole e le sue stesse nuova venissero fatte oggetto di preda. Ingenuamente il Dodo si è lasciato portare all’estinzione.
Cosa c’entra la teoria economica del Dodo con l’economia? C’entra e come, quello che è accaduto al Dodo, ahimè tristemente sta accadendo anche al Made in Italy. Pensiamoci un attimo, cosa sarebbe in termini di appeal turistico per l’isola delle Mauritius oggi la presenza del Dodo, un animale che esiste solamente lì, un po’ come il canguro per l’Australia e pariteticamente oggi noi abbiamo, che per il nostro Paese una straordinaria risorsa è un Made in Italy che esiste solamente qui, ancora per poco, visto che non abbiamo tanto da destra, tanto da sinistra, passando per il centro, una forza politica che si faccia portavoce di ideali di tutela, protezione e garanzia nei confronti di tutte quelle che oggi giorno sono le potenzialità inespresse del Paese. Il Made in Italy che ormai non vuol dire più nulla perché si fa il possibile per trasformare, per tentare di ricreare un prodotto rendendolo Made in Italy, ci sono fior di attività di manifattura in cui il grosso della produzione viene esternalizzato all’estero e poi per esempio per le scarpe, basta reimportare la suola, la tomaia e la calzatura, applicare l’etichetta in Italia e quello grazie a leggi che sono completamente scellerate, diventa un prodotto Made in Italy, quest’ultimo ha perso completamente il suo significato originario, oggi ha più senso chiamarlo Designed in Italy che è quello che sta accadendo, qui in Italia viene mantenuta l’attività di concezione del prodotto e poi la materializzazione, la produzione e il confezionamento viene realizzata altrove a miglia e miglia di distanza.
Quello che dovrebbe essere comprensibile da tutti è il fatto che in Italia i cosiddetti distretti industriali che sono la culla del Made in Italy stanno letteralmente venendo svenduti da chi ci sta governando, da chi ci ha governato prima. Non c’è una politica industriale volta alla protezione di queste che sono le nostre originalità e a distanza di quattro secoli, scopriamo che in Italia il pensiero del Dodo vive, vive negli italiani che ingenuamente lasciano e guardano che la loro originalità venga distrutta e portata all’estinzione.
In qualsiasi Paese del mondo andate, il marchio Made in Italy o se non altro il poter osteggiare merci e prodotti che sono marchiati con questa peculiare distinzione, è un vanto per chiunque li possa comprare o per chiunque li possa indossare. Rimango sbigottito e amareggiato per sentire come recentemente viene ostentata la fenomenale joint venture con il patrocinio con il Ministero dell’agricoltura in cui si permette a un’azienda, una corporation multinazionale come la Mc Donald’s, di unire i suoi prodotti a prodotti tipici locali del settore dell’industria agroalimentare italiana. Dal mio accento capite che sono di origine veneta e sono rimasto letteralmente angosciato nel vedere come esiste il "Mc Italy" , un hamburger in cui al posto della sottiletta di Emmental o di formaggio fuso americano c'è sottiletta di formaggio Asiago, come immagino molti di voi sanno, deriva dall’altopiano di Asiago in Provincia di Vicenza.
Manca nella maniera più assoluta al pari del Dodo, 4 o 5 secoli fa, la volontà in termini di governance politica di proteggere le risorse e le grandi opportunità che ha il nostro Paese, esclusivamente legate alla capacità di originare e creare prodotti che in nessun’altra parte del mondo esistono, noi italiani stiamo diventando una nuova razza di Dodi, di ingenui che accettiamo sommessamente questo destino che ci viene prospettato, è abbastanza ben definito ormai che c’è una volontà politica occulta, volta a una progressiva opera di deindustrializzazione del Paese e come dice Tito Boeri, da qui a 5, 6 anni avremo una perdita di potenziale manifatturiero tra il 40 e il 50%, significa milioni e milioni di posti di lavoro che in Italia non potranno più essere sostituiti! Auguro a tutti quanti che possa emergere e auguro anche a me stesso, dal basso, nei prossimi anni, una qualche forza, un qualche movimento popolare che si faccia forte nel difendere e soprattutto nel garantire la tutela di quella che è la grande risorsa che ha il Paese, che ha ancora forse per poco, da una parte il Made in Italy e dall’altra i distretti industriali che fino a un decennio fa, sono stati il vanto della intera industria in tutto il mondo! Grazie a tutti, buon proseguimento e ci vediamo la settimana prossima!".
http://www.youtube.com/watch?v=L8jFBc23fzk
Testo intervento Eugenio Benetazzo.
"Un saluto a tutti i lettori del blog. Parlerò della cosiddetta teoria economica del Dodo, cos’è il Dodo? E' stato un simpatico pennuto colombiforme, alto grosso modo 50/60 centimetri, inetto al volo, vissuto durante fino al XVII secolo nell’isola delle Mauritius, è stato un ispiratore da parte di molti personaggi di lungometraggi animati e anche delle storie del fumetto della Walt Disney a cominciare da Alice nel paese delle meraviglie, a finire a Spennacchiotto, il famoso scienziato che faceva concorrenza a Archimede e aiutava la Banda Bassotti a derubare zio Paperone.
Perché parlo con l’imperfetto? Perché il Dodo non esiste ma esisteva? Perché il Dodo si è estinto, sembra nel 1681, anno nel quale si è verificato l’ultimo suo avvistamento e perché si è estinto il Dodo? Si è estinto a seguito dell’arrivo dei coloni portoghesi o olandesi nell’isola che introdussero nella fauna, specie antagoniste, come cani, gatti, conigli, suini che diventarono voracissimi delle uova del Dodo, quest’ultimo nidificava a terra, solitamente un uovo per esemplare e nel giro di 50 anni, si estinse perché le autorità di allora non pensarono, non concepirono il pericolo per questo simpatico bipede dell’ingresso di specie non autoctone. Il Dodo non aveva mai incontrato nell’isola specie che potessero creargli difficoltà o con il quale si potesse scontrare. Dodo ha questo nome in quanto gli è stato affibbiato dai portoghesi, questi ultimi utilizzarono un aggettivo nella loro lingua "Doudo" che significa ingenuo, perché i portoghesi che arrivarono all’isola e videro questo simpatico animale che si avvicinava a loro senza ostentare nella maniera più assoluta alcuna remora o peggio ancora nel restare a guardare che la sua stessa prole e le sue stesse nuova venissero fatte oggetto di preda. Ingenuamente il Dodo si è lasciato portare all’estinzione.
Cosa c’entra la teoria economica del Dodo con l’economia? C’entra e come, quello che è accaduto al Dodo, ahimè tristemente sta accadendo anche al Made in Italy. Pensiamoci un attimo, cosa sarebbe in termini di appeal turistico per l’isola delle Mauritius oggi la presenza del Dodo, un animale che esiste solamente lì, un po’ come il canguro per l’Australia e pariteticamente oggi noi abbiamo, che per il nostro Paese una straordinaria risorsa è un Made in Italy che esiste solamente qui, ancora per poco, visto che non abbiamo tanto da destra, tanto da sinistra, passando per il centro, una forza politica che si faccia portavoce di ideali di tutela, protezione e garanzia nei confronti di tutte quelle che oggi giorno sono le potenzialità inespresse del Paese. Il Made in Italy che ormai non vuol dire più nulla perché si fa il possibile per trasformare, per tentare di ricreare un prodotto rendendolo Made in Italy, ci sono fior di attività di manifattura in cui il grosso della produzione viene esternalizzato all’estero e poi per esempio per le scarpe, basta reimportare la suola, la tomaia e la calzatura, applicare l’etichetta in Italia e quello grazie a leggi che sono completamente scellerate, diventa un prodotto Made in Italy, quest’ultimo ha perso completamente il suo significato originario, oggi ha più senso chiamarlo Designed in Italy che è quello che sta accadendo, qui in Italia viene mantenuta l’attività di concezione del prodotto e poi la materializzazione, la produzione e il confezionamento viene realizzata altrove a miglia e miglia di distanza.
Quello che dovrebbe essere comprensibile da tutti è il fatto che in Italia i cosiddetti distretti industriali che sono la culla del Made in Italy stanno letteralmente venendo svenduti da chi ci sta governando, da chi ci ha governato prima. Non c’è una politica industriale volta alla protezione di queste che sono le nostre originalità e a distanza di quattro secoli, scopriamo che in Italia il pensiero del Dodo vive, vive negli italiani che ingenuamente lasciano e guardano che la loro originalità venga distrutta e portata all’estinzione.
In qualsiasi Paese del mondo andate, il marchio Made in Italy o se non altro il poter osteggiare merci e prodotti che sono marchiati con questa peculiare distinzione, è un vanto per chiunque li possa comprare o per chiunque li possa indossare. Rimango sbigottito e amareggiato per sentire come recentemente viene ostentata la fenomenale joint venture con il patrocinio con il Ministero dell’agricoltura in cui si permette a un’azienda, una corporation multinazionale come la Mc Donald’s, di unire i suoi prodotti a prodotti tipici locali del settore dell’industria agroalimentare italiana. Dal mio accento capite che sono di origine veneta e sono rimasto letteralmente angosciato nel vedere come esiste il "Mc Italy" , un hamburger in cui al posto della sottiletta di Emmental o di formaggio fuso americano c'è sottiletta di formaggio Asiago, come immagino molti di voi sanno, deriva dall’altopiano di Asiago in Provincia di Vicenza.
Manca nella maniera più assoluta al pari del Dodo, 4 o 5 secoli fa, la volontà in termini di governance politica di proteggere le risorse e le grandi opportunità che ha il nostro Paese, esclusivamente legate alla capacità di originare e creare prodotti che in nessun’altra parte del mondo esistono, noi italiani stiamo diventando una nuova razza di Dodi, di ingenui che accettiamo sommessamente questo destino che ci viene prospettato, è abbastanza ben definito ormai che c’è una volontà politica occulta, volta a una progressiva opera di deindustrializzazione del Paese e come dice Tito Boeri, da qui a 5, 6 anni avremo una perdita di potenziale manifatturiero tra il 40 e il 50%, significa milioni e milioni di posti di lavoro che in Italia non potranno più essere sostituiti! Auguro a tutti quanti che possa emergere e auguro anche a me stesso, dal basso, nei prossimi anni, una qualche forza, un qualche movimento popolare che si faccia forte nel difendere e soprattutto nel garantire la tutela di quella che è la grande risorsa che ha il Paese, che ha ancora forse per poco, da una parte il Made in Italy e dall’altra i distretti industriali che fino a un decennio fa, sono stati il vanto della intera industria in tutto il mondo! Grazie a tutti, buon proseguimento e ci vediamo la settimana prossima!".
http://www.youtube.com/watch?v=L8jFBc23fzk
venerdì 12 febbraio 2010
Arianna
“NE-RAZUMIE: La Prima Grande Opera di una Grande Autrice”
“Nera-Zumie” è il titolo del libro scritto da Arianna Santini. Esso narra, dal punto di vista soggettivo, le esperienze personali, della stessa autrice, quando nell’estate 2006, intraprese un breve ma intenso viaggio, in Bosnia Erzegovina. Il significato etimologico del termine è “Non Capisco”. L’autrice, però, dimostrerà, come nel corso del viaggio, (compiuto come membro di un corpo di volontari scout), sia riuscita, in pochissimo tempo, (pur non capendo una “Sola H” di serbo), a carpire, a mio parere, la più profonda essenza dell’animo di quel contraddittorio paese. La struttura dell’opera è a metà strada tra il “Diario Autobiografico” e il “Romanzo Epistolare”. Lo stile del testo, infatti, è molto semplice, libero da arzicolature di tecnica letteraria d’ogni sorta, di una disarmante Genuinità e spontaneità, tanto che questo particolare scritto, si potrebbe anche paragonare, non voglio per nulla esagerare, agli scritti del cosiddetto “Classicismo Leopardiano”. Il lettore, infatti, sarà portato per mano in un mondo sconosciuto, dove si può ridere a crepa-pelle, come quando la nostra protagonista, Arianna, rischia di otturare la fognatura dell’intero palazzo che ospita il suo gruppo, perché si dimentica di non buttare la carte-igenica nel wc del “Bagno alla Turca”. Un momento di spavento, invece, è quando Arianna rischia di finire sotto a un tram, perché la nostra protagonista non sa stare sul quel tipo di bicicletta. Un momento molto comico, invece, è quando Arianna si dimentica di allontanarsi dallo scarico del bagno, che in quella parte del mondo, è sempre alla turca prima tirare giù l’acqua facendosi cosi due volte la doccia. Nel frattempo, però, nel racconto ci sono momenti d’intensa tristezza e profondità, come quando Arianna ci descrive la testimonianza di una madre di nome Kanita che spiega l’orrore della guerra, nella quale perse il marito ed entrambi i genitori. Tale testimonianza, come afferma l’autrice, ci ricorda che la guerra non è bianca o nera, non ci sono buoni contro cattivi, ma che la guerra è a pois. Kanita, infatti, che fa parte della fazione serba ci ha raccontato che ormai è rimasta solo lei con il figlio di tre anni che, almeno all’epoca dei fatti riportati nel libro, continuava a chiedere alla madre: “Mamma, perché non ti fai più bella come le altre mamme?Metti il rossetto, colora gli occhi, vai dalla zia e fatti mettere quel fango sui capelli (la tinta) ”! La donna, in pochissimi giorni, aveva perso, infatti, tutto quello cui teneva tranne i suoi due figli, solo per amor loro, infatti, cercò di tornare ad una parvenza di vita normale. Nel testo però ci sono anche momenti di grande gioiosità come quando l’autrice descrive i bambini di Sarajevo dicendo che loro sono abilissimi nel costruire giocattoli con tutto quello che trovano, stanno molto attenti a quello che gli diciamo in una sorta di “Esperanto” fatto d’inglese, italiano, bosniaco e a gesti e sono discretamente educati ed affettuosi, anzi, levo il “discretamente”: sono geniali nella loro bambinesca semplicità, attenti e desiderosi di coccole.
Anche in loro era evidente la sofferenza, ma per un bambino è diverso rispetto a un adulto e mi viene in mente “La vita è bella” di Benigni nel quale il protagonista fa vivere al figlio “Il grande Gioco della Guerra” cercando di alleggerire la situazione ribaltando la realtà; credo che i bambini non si arrendano mai di fronte all'evidenza e che affrontino con coraggio ogni cosa si pari loro davanti... il coraggio dei bambini sta nel vedere un pizzico di bontà in ogni persona e aggrapparsi a questa speranza. In questo romanzo, in fine, troviamo momenti di grande introspezione psicologica come quando l’autrice paragona se stessa alla protagonista della fiaba scritta dall’inglese reverendo Charles Lutwidge Dodgson, sotto il ben più noto pseudonimo di Lewis Carroll. Arianna, infatti, afferma che anche lei, come nel libro di Lewis Carroll, ha incontrato nel suo viaggio il “Cappellaio Matto”, Sashka, il custode di Kasindo; la Finta Tartaruga, Kanita; l'onnipresente Grifone, il nostro amico Boban; il saggio “Brucaliffo”, l'ebreo Levi... e tante altre carte, ognuna con un ruolo specifico e unico nel grande gioco della guerra, ognuno con una storia, ognuno ha impegnato se stesso fino in fondo, ed io, novella Alice, cerco la via della chiarezza in tutta la miriade di frasi e pensieri che ho ascoltato, e in fondo in fondo, cerco anche la via per tornare a casa mia...
Miei cari amici, in conclusione v’invito a leggere questo meraviglioso libro nella certezza che la “Regale beltà” dell’autrice, proprie delle regine della foresta, risplenderà nei vostri cuori come un”sole estivo” dopo un rigido inverno. Animo, dunque, alziamo i nostri calici alla prima opera della nuova Jane Austen italiana.
Antonio Aroldo -
lunedì 8 febbraio 2010
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