venerdì 12 febbraio 2010

Arianna


“NE-RAZUMIE: La Prima Grande Opera di una Grande Autrice”

“Nera-Zumie” è il titolo del libro scritto da Arianna Santini. Esso narra, dal punto di vista soggettivo, le esperienze personali, della stessa autrice, quando nell’estate 2006, intraprese un breve ma intenso viaggio, in Bosnia Erzegovina. Il significato etimologico del termine è “Non Capisco”. L’autrice, però, dimostrerà, come nel corso del viaggio, (compiuto come membro di un corpo di volontari scout), sia riuscita, in pochissimo tempo, (pur non capendo una “Sola H” di serbo), a carpire, a mio parere, la più profonda essenza dell’animo di quel contraddittorio paese. La struttura dell’opera è a metà strada tra il “Diario Autobiografico” e il “Romanzo Epistolare”. Lo stile del testo, infatti, è molto semplice, libero da arzicolature di tecnica letteraria d’ogni sorta, di una disarmante Genuinità e spontaneità, tanto che questo particolare scritto, si potrebbe anche paragonare, non voglio per nulla esagerare, agli scritti del cosiddetto “Classicismo Leopardiano”. Il lettore, infatti, sarà portato per mano in un mondo sconosciuto, dove si può ridere a crepa-pelle, come quando la nostra protagonista, Arianna, rischia di otturare la fognatura dell’intero palazzo che ospita il suo gruppo, perché si dimentica di non buttare la carte-igenica nel wc del “Bagno alla Turca”. Un momento di spavento, invece, è quando Arianna rischia di finire sotto a un tram, perché la nostra protagonista non sa stare sul quel tipo di bicicletta. Un momento molto comico, invece, è quando Arianna si dimentica di allontanarsi dallo scarico del bagno, che in quella parte del mondo, è sempre alla turca prima tirare giù l’acqua facendosi cosi due volte la doccia. Nel frattempo, però, nel racconto ci sono momenti d’intensa tristezza e profondità, come quando Arianna ci descrive la testimonianza di una madre di nome Kanita che spiega l’orrore della guerra, nella quale perse il marito ed entrambi i genitori. Tale testimonianza, come afferma l’autrice, ci ricorda che la guerra non è bianca o nera, non ci sono buoni contro cattivi, ma che la guerra è a pois. Kanita, infatti, che fa parte della fazione serba ci ha raccontato che ormai è rimasta solo lei con il figlio di tre anni che, almeno all’epoca dei fatti riportati nel libro, continuava a chiedere alla madre: “Mamma, perché non ti fai più bella come le altre mamme?Metti il rossetto, colora gli occhi, vai dalla zia e fatti mettere quel fango sui capelli (la tinta) ”! La donna, in pochissimi giorni, aveva perso, infatti, tutto quello cui teneva tranne i suoi due figli, solo per amor loro, infatti, cercò di tornare ad una parvenza di vita normale. Nel testo però ci sono anche momenti di grande gioiosità come quando l’autrice descrive i bambini di Sarajevo dicendo che loro sono abilissimi nel costruire giocattoli con tutto quello che trovano, stanno molto attenti a quello che gli diciamo in una sorta di “Esperanto” fatto d’inglese, italiano, bosniaco e a gesti e sono discretamente educati ed affettuosi, anzi, levo il “discretamente”: sono geniali nella loro bambinesca semplicità, attenti e desiderosi di coccole.

Anche in loro era evidente la sofferenza, ma per un bambino è diverso rispetto a un adulto e mi viene in mente “La vita è bella” di Benigni nel quale il protagonista fa vivere al figlio “Il grande Gioco della Guerra” cercando di alleggerire la situazione ribaltando la realtà; credo che i bambini non si arrendano mai di fronte all'evidenza e che affrontino con coraggio ogni cosa si pari loro davanti... il coraggio dei bambini sta nel vedere un pizzico di bontà in ogni persona e aggrapparsi a questa speranza. In questo romanzo, in fine, troviamo momenti di grande introspezione psicologica come quando l’autrice paragona se stessa alla protagonista della fiaba scritta dall’inglese reverendo Charles Lutwidge Dodgson, sotto il ben più noto pseudonimo di Lewis Carroll. Arianna, infatti, afferma che anche lei, come nel libro di Lewis Carroll, ha incontrato nel suo viaggio il “Cappellaio Matto”, Sashka, il custode di Kasindo; la Finta Tartaruga, Kanita; l'onnipresente Grifone, il nostro amico Boban; il saggio “Brucaliffo”, l'ebreo Levi... e tante altre carte, ognuna con un ruolo specifico e unico nel grande gioco della guerra, ognuno con una storia, ognuno ha impegnato se stesso fino in fondo, ed io, novella Alice, cerco la via della chiarezza in tutta la miriade di frasi e pensieri che ho ascoltato, e in fondo in fondo, cerco anche la via per tornare a casa mia...

Miei cari amici, in conclusione v’invito a leggere questo meraviglioso libro nella certezza che la “Regale beltà” dell’autrice, proprie delle regine della foresta, risplenderà nei vostri cuori come un”sole estivo” dopo un rigido inverno. Animo, dunque, alziamo i nostri calici alla prima opera della nuova Jane Austen italiana.

Antonio Aroldo -

Nessun commento:

Posta un commento

Commentate tutto e passate Parola